Caronte
Figlio di Erebo e della notte, Caronte era il nocchiero che faceva transitare attraverso i fiumi degli Inferi le anime dei morti. Egli si serviva di un’antichissima barca formata da pezzi di corteccia d’albero cuciti insieme. Il nocchiero era rappresentato nel mondo greco come in quello romano, come un uomo molto anziano con una sudicia e folta barba. Nella Mitologia Classica, è il traghettatore del dell’Oltretomba, dove Ade ne è il signore e padrone.
Le origini del nome
Come ritiene Bechtel (Hom. Personennamen, p. 466) il nome potrebbe essere ricollegabile al verbo χαίρω, “gioire” e sarebbe una sorta di eufemismo destinato a placare questo personaggio. Secondo Van Windekens (“Beitr. Namenf”.9, 1958, p. 172) si tratterebbe di un’etimologia popolare; egli confronta il nome ad Ἀχέρων, visto che Caronte traghettava le anime su questo fiume.
Il mito
Come psicopompo1 trasportava le anime dei morti da una riva all’altra del fiume Acheronte2, ma solo se i loro cadaveri avevano ricevuto i rituali onori funebri (o, in un’altra versione, se disponevano di un obolo per pagare il viaggio); in caso contrario tali anime erano costrette ad errare in eterno senza pace tra le nebbie del fiume oppure fuggire alla sorveglianza di Ermes, che li aveva accompagnati fino alla riva dell’Acheronte, per tentare di introdursi nel Tartaro (luogo di pena e di supplizio) da un ingresso secondario.
Nell’antica Roma vigeva la tradizione di mettere una moneta sotto la lingua del cadavere prima della sepoltura. La tradizione rimase viva in Grecia fino ad epoche abbastanza recenti ed è probabilmente di origine antica. Qualche autore sostiene che il prezzo era di due monete, sistemate sopra gli occhi del defunto o sotto la lingua.
Nella letteratura mitologica classica nessuna anima viva è mai stata trasportata dall’altra parte, con le sole eccezioni della dea Persefone, degli eroi Enea, Teseo, Piritoo e Ercole, Odisseo, del vate Orfeo, della sibilla cumana Deifobe, di Psyché e, nella letteratura e nelle tradizioni successive a quella greca antica, di Dante Alighieri.
La figura di Caronte
Le due opere più significative in cui s’incontra la figura di Caronte sono sicuramente l’Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante.
Enea si fece traghettare da Caronte durante la sua discesa agli Inferi ricordata nel libro VI dell’Eneide, placandone l’ira con un ramoscello d’oro che la Sibilla gli aveva prescritto di raccogliere per portarlo in dono alla dea Proserpina. Secondo la tradizione, Caronte fu punito per aver traghettato Enea nell’aldilà e venne condannato a restare un anno in catene.
Nella Divina Commedia viene descritto con la barba e i capelli bianchi e con gli occhi rossi come il fuoco. Ispirandosi a Virgilio, Dante riprende la figura di Caronte nel canto III dell’Inferno, dove egli traghetta le anime dei dannati assiepate sulla riva del fiume Acheronte. Qui Dante si rifà strettamente all’episodio dell’Eneide accentuando i tratti demoniaci del traghettatore e facendone uno strumento della giustizia divina. Anch’egli si oppone al passaggio di Dante, ma è zittito da Virgilio con una formula identica a quella usata poi con Minosse e analoga a quella usata con Pluto.
Caronte compare per la prima volta nella Miniade e successivamente nei Sette contro Tebe di Eschilo. Alla fine del V secolo a.C., compare nella commedia Le rane di Aristofane, in cui urla insulti nei riguardi della gente che lo attornia.
Il carattere del personaggio
Nonostante le fattezze di vecchio, Caronte era ricordato soprattutto per la sua forza enorme, il suo lavoro era infinito e ripetitivo, per questo aveva un carattere così cupo. Gli unici momenti al di fuori della sua routine infinita sono rappresentati da alcune situazioni eccezionali, in cui una persona vivente voleva accedere negli inferi, come accadde con Ercole e Orfeo. Per il resto, la sua attività era un’eterna ripetizione.
Nessuno avrebbe potuto pensare di beffare o quanto meno intimidire il traghettatore infernale, era un essere irremovibile e la sua inflessibilità era pari solo alle sue macabre e riprovevoli fattezze fisiche, si dice che in tutta la Mitologia Classica, soltanto un uomo fosse riuscito a raggiungere il Regno di Morti senza il prezzo necessario che Caronte esigeva; parliamo di Orfeo, il celebre compositore mitologico che non riuscì a darsi pace dopo la morte della sua adorata moglie, tanto che scese agli Inferi per cercare di riscattarla da Ade. Il suono delle sua arpa si dice che sia così bello e dolce, al punto che ebbe un effetto quasi ipnotico, ed era proprio di questo potere che Orfeo si servì per ammaliare Caronte, il quale restò tanto incantato dalla bellezza della sua musica che acconsentì a traghettarlo dall’altra parte anche se egli era un uomo ancora in vita.
Caronte nell’arte
Nelle pitture delle tombe etrusche Caronte appare come un demone alato con serpenti intrecciati nella capigliatura e con in mano una grossa mazza. Questo lascia supporre che il Caronte etrusco sia in realtà il demone della morte, colui che uccide il morente e lo trascina nel regno dei morti.
Nell’arte relativamente recente (tralasciando quindi i vasi greci e le tombe etrusche) ci sono alcune rappresentazioni famose di Caronte, su tutte segnaliamo Caronte nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina. Michelangelo lo rappresenta con gli occhi spalancati, l’iride nera contornata dal bianco del bulbo sembrano uscirgli dalla testa. Gli altri tratti tipici di Caronte sono trascurati, è infatti senza barba e quasi calvo: lo raffigura solo con dei lunghi baffi e dei ciuffi di capelli sparuti sulla testa. La mancanza della barba può essere giustificata dal fatto che avrebbe potuto impedito di vedere il corpo e quindi la muscolatura che invece Michelangelo mette in risalto. L’assenza della barba e le orecchie a punta mettono in ridicolo il demone rendendone una figura grottesca com’era nell’intenzione del Maestro.
Note
1)Nella religione greca, epiteto di divinità, soprattutto di Ermes (anche di Caronte e di Apollo), designante la funzione di guida delle anime dei trapassati verso il regno dei morti.
2)Nome antico di molti fiumi del mondo greco, in Trifilia, nel Bruzio e presso Cuma. Il più noto era però quello della Tesprotide in Epiro (detto ora Makropòtamos), che ha corso in parte sotterraneo e forma la palude Acherusia; ricordato per la prima volta nell’Odissea (X, 513), era considerato l’ingresso agli inferi e principale dei quattro fiumi dell’Ade: le anime potevano oltrepassarlo solo se i loro corpi fossero stati sepolti.